Archivio mensile:aprile 2017
Catturati nella rete
( Dal Web )
In pochi decenni, l’intero globo è stato ricoperto da differenti nuove reti: Internet, rete di telefonia mobile & Co… Con quale rapidità questa rete si sia sviluppata, e fino a che punto essa si sia intessuta in modo sempre più capillare, quasi nessuno avrebbe osato predirlo. I cavi di fibre ottiche che solcano come vene il sottosuolo delle città, i segnali che vibrano nell’aria a frequenze sempre più alte, le antenne, i modem, i telefoni portatili, il wifi, l’home monitoring, l’internet delle cose, le Smart City.
Oggi si parla in modo inflazionistico di social network, di collegamento in rete, di networking, di rete, etc… Questi concetti si fanno strada nel vocabolario delle imprese, della politica, dei gruppi di interesse e delle cerchie di amici… in realtà ne sentiamo parlare praticamente dappertutto. Si tratta di una trasformazione totale delle teorie sull’organizzazione, cosa che non dovrebbe sorprendere, perché nello stesso tempo l’insieme della società si sta ristrutturando su nuove basi.
Ma qual è lo scopo di una rete? È chiaro: un ragno tesse la sua rete per catturare insetti che in seguito divorerà vivi. Un pescatore ha bisogno della rete per catturare i pesci. Allora, a cosa serve la nuova magnifica rete che si estende sul mondo intero, elaborata da diverse imprese e da istituzioni statali, il cui sviluppo sembra essere senza fine? Ebbene, coloro che la tessono e la finanziano mirano prima di tutto a una cosa: il Capitale. Tutto ciò che viene catturato da questa rete viene trasformato in informazioni sotto forma di uno e zero, in informazioni potenzialmente sfruttabili che per i più “aggiornati“ significano più capitale.
Questa rete viene intessuta già da qualche decennio, e molti ci vedono ancora un potenziale di sviluppo. Perche non intensificare la sua estensione al di sopra dell’architettura urbana, farla penetrare negli appartamenti o persino nel corpo umano? Questo fornirebbe ancora più informazioni. Informazioni dettagliate, informazioni forse suscettibili di riflettere l’insieme della realtà, cosa che significherebbe: ancora più capitale. Capitale sotto forma di sicurezza, di controllo, di velocità, di previsione e prevedibilità.
L’attuale ristrutturazione destinata a perpetuare il capitalismo, provoca anche dei cambiamenti nei rapporti sociali. Questo si delinea da molto tempo. Si rinuncia sempre di più a certe cose che oggi sembrano passate di moda, che hanno causato troppo malcontento, anche se questo potrebbe sicuramente cambiare di nuovo in futuro. Perlomeno, nella famiglia, a scuola, al lavoro, il comportamento diretto, personale e apertamente autoritario si indebolisce man mano che la relazione umana diretta e non mediata passa progressivamente in secondo piano. Questo comportamento cede regolarmente il passo alla logica delle reti collaborative, delle reti “trasparenti“, che nel migliore dei casi costituiscono una ulteriore maglia produttiva nella grande rete. La dominazione diventa sempre più impersonale e diventa sempre più difficile vedere secondo quale algoritmo stiamo danzando, come è stato programmato e chi lo controlla… Come mosche eccoci ben invischiati nella ragnatela, con la differenza che apparentemente sembriamo essere stati privati dell’istinto di dibatterci e semplicemente di volar via. Spesso non sappiamo più nemmeno cosa significhi volare.
Secondo me, come anarchici, non dovremmo accettare così facilmente il discorso delle reti eccetera. Una rete è qualcosa che viene usato per catturare, nella quale ci si impiglia e da cui difficilmente si riesce ad uscire. Dovremmo basare le nostre lotte piuttosto su una organizzazione agile, una libera associazione che possa essere dissolta in qualsiasi momento dai suoi partecipanti quando questi lo giudichino opportuno, e preferire rapporti non mediati, rifiutando le norme sociali e tutte le gerarchie, al di là degli algoritmi e dei programmi.
E mentre risulta evidente che gli esseri umani cadono letteralmente come mosche nella ragnatela, adescati da immagini scintillanti, comodità e passatempi fino alla nausea, faremmo meglio a riflettere su come passare attraverso le maglie della rete, come tagliarne i fili per fare in modo che tutto l’insieme della rete si spezzi.
Che cosa è il fascismo?
( Dal Web )
André Prudhommeaux
Antropomorfismo
( Dal Web )
Ottorino Manni
Una domanda sorge spontanea / Prendiamo atto
( Dal Web )
Una domanda sorge spontanea
La costruzione del gasdotto sembra essere diventata una minaccia relativa, chi sta dietro Tap anche. Possiamo sentirci tranquilli, la situazione è sotto controllo, studiamo ogni mossa, siamo super-iper informati, e poi lo dicono anche i giornali che sono dei mafiosi!
Ad oggi di primaria importanza resta però il reimpianto degli ulivi… ma prima di questo, sicuramente l’immagine mediatica. Come appariamo alle persone che ci vedono da casa? Non vogliamo di certo considerarci responsabili della morte di questi esuli alberi azzoppati! E poi come si potrà far combaciare bene gli incartamenti comunali con le pratiche di resistenza sul territorio?
Quelle pietre divelte lungo la strada suscitano più disprezzo del deserto che si palesa all’interno delle cancellate create dalla multinazionale, della brutalità delle forze dell’ordine, della repressione esercitata attraverso i mezzi di comunicazione, delle decisioni con stretta di mano tra capi di governo che incitano alla guerra e all’annientamento della vita!
Siamo ancora agli inizi, alla “Fase 0” dei lavori Tap, ma pare già che il nemico sia stato perso di vista e che le motivazioni che animano le proteste si sfaldino per dar posto al prevalere dei singoli personalismi, che impongono scelte dettate non si sa bene da cosa. Nella migliore delle ipotesi dalla paura delle denunce e dall’ingenuità di chi crede che una mediazione con Tap può essere accettabile, oppure a pensar male solo da comportamenti di esclusione e critica verso chi giunge da fuori, chi è considerato forestiero, o verso chi crede che ora è il momento opportuno per dimostrare tutta la nostra ostilità, senza dover fare nessun passo indietro!
Gli esiti di questi atteggiamenti sono tangibili nella pratica, nei momenti reali di opposizione, di fronte ad operai che continuano a lavorare indisturbati nella messa in sicurezza di un cantiere che darà prima o poi risultati concreti, i quali non si limitano al solo espianto degli ulivi ma alla realizzazione dell’intera opera. In molti momenti “l’attivismo” di alcuni si è rivolto con toni di pura castrazione e censura verso chi in modo del tutto individuale credeva che restare a guardare non bastasse a farlo sentire con la coscienza pulita, e che lo scopo di prendere parte al presidio fosse innanzi tutto quello di contrastare ogni fase di questo infame progetto.
Senza soffermarsi sulle singole prese di posizione, chi reclama di lasciar lavorare in sicurezza gli operai, o chi pensa che non è il momento storico per erigere barricate, dimostrando che dal passato ha ben poco capito, forse non ha ben chiare le motivazioni concrete che portano ad essere presenti in quelle campagne, oppure ha solo dimenticato gli atti di forza subiti pochi giorni addietro! Se vogliamo continuare a gironzolare intorno al presidio nei momenti di pausa dalle stressanti ore lavorative va bene, questo però non deve prevalere o escludere l’iniziativa e le potenzialità pratiche di lotta.
Una domanda sorge spontanea: a cosa siamo pronti a rinunciare? Ad un gruzzolo di alberi ormai compromessi o alla nostra dignità? Nella seconda delle ipotesi continueremmo a mediare e a farci prendere in giro da pedine senza scrupoli di una multinazionale, facendo così solo il loro gioco!
Prendiamo atto
Prendiamo atto che, quando si indica la luna, lo stolto guarda il dito. Ci si indigna più per un muretto a secco usato per costruire una barricata che per alcuni ettari di terreno circondati da muri in cemento e grate in ferro, sorvegliati giorno e notte da guardie private armate pagate da chi vuole imporre con la forza una nocività, con capo della sicurezza un contractor con pregresse esperienze in operazioni militari negli scenari bellici in giro per il mondo.
Prendiamo atto che il Comitato No Tap continua instancabile la sua opera di dissociazione da qualunque atto autodeterminato di opposizione alla realizzazione del gasdotto, opera di dissociazione che prosegue da anni e contribuisce a restringere il campo nelle indagini di polizia e a indirizzarle.
Prendiamo atto che il Comitato No Tap, o alcuni suoi rappresentanti, scavalcano in maniera autoritaria le decisioni prese collettivamente nel Presidio sorto per contrastare l’opera di Tap. Tra queste decisioni, la realizzazione di barricate e l’allontanamento di Tele Norba.
Prendiamo atto che questo superamento delle decisioni collettive diventa – nei fatti – una forma di collaborazionismo con Tap, a cui il Comitato No Tap ha già permesso una volta, col pretesto dell’invasamento di alcuni alberi eradicati e abbandonati al suolo, di reinstallare e rinforzare le recinzioni e provare a portare via dal cantiere un grosso camion dotato di gru, bloccato solo dalla rabbia dei manifestanti. Nessun invaso degli ulivi peraltro è stato attuato in quella circostanza. Di queste forme di collaborazionismo, il Comitato No Tap, o alcuni suoi rappresentanti, dovranno assumersi la responsabilità e rendere conto quando – e se! – l’opera avanzerà e sarà realizzata.
Prendiamo atto che il Comitato No Tap, o alcuni suoi rappresentanti, strumentalizzano la rabbia e la protesta spontanea e sincera dei molti oppositori che Tap ha incontrato in questi giorni, ai fini di una passerella mediatica in cui millantare meriti che non hanno nel blocco temporaneo dell’opera. Senza l’opposizione diretta di molti nel corso dell’espianto degli ulivi, questo sarebbe proseguito e terminato entro due giorni, tra sterili lamentele e con buona pace della burocrazia e della Legge di Ministeri, Tar, Corti Costituzionali, Regione e quant’altro; gli stessi enti, la stessa burocrazia e la stessa Legge che hanno avallato ed approvato il gasdotto Tap. Non intendiamo fungere da manovalanza per nessuno.
Prendiamo atto che il Presidio No Tap, per mezzo dei social media di cui si serve per la propria comunicazione, ha trasformato il suo nome in Movimento No Tap, pretendendo con questa autoproclamata definizione di rappresentare ed essere espressione di tutto il molteplice e variegato fronte dell’opposizione a Tap. Lo riteniamo scorretto, in quanto non ci sentiamo rappresentati da idee, pratiche, contenuti e comunicati che vorrebbero parlare a nome di tutti. Ognuno parla per sé.
Non può funzionare una situazione in cui, costantemente, c’è qualcuno che tenta di passare per buono agli occhi dei media, facendo passare altri per cattivi.
Non può funzionare una situazione in cui c’è chi invoca la repressione, come fatto dal comandante dei vigili di Melendugno, il quale intrattiene una strettissima relazione con il Comitato No Tap e, di conseguenza, anche con il Presidio, oltreché dalla presidente provinciale dell’Arci, Anna Caputo, che ha definito “vandali” alcuni manifestanti: le sue dichiarazioni sono spazzatura. Ecco, un personaggio simile, da sempre in grado di invocare manette e galera, è considerato parte del Movimento No Tap?
Non può funzionare una situazione in cui l’assemblea del Presidio No Tap è comunque succube delle indicazioni dello stesso comandante dei vigili e del Comitato No Tap, che persiste nella sua opera di persuasione fino a che non ha ottenuto il risultato che voleva, come permettere a Tap di entrare nel cantiere.
Non può funzionare una situazione in cui ci si permette di paragonare a Tap, coloro che fino a quel momento gli si sono opposti, solo perché il metodo usato, peraltro deciso in forma assembleare dal Presidio, non è condiviso. Quando qualche anno fa il Comitato No Tap si è seduto varie volte allo stesso tavolo di Tap, per discutere con questa, nessuno ha osato paragonarlo a Tap, nonostante la non condivisione del metodo collaborazionista del Comitato.
Si è volutamente alzato un polverone su un muro usato per una barricata, senza fare una minima riflessione sul perché quelle barricate sono state fatte: impedire o rallentare i camion che dovevano espiantare e permettere alla persone di accorrere davanti al cantiere. Si è usata la paura che le famiglie di Melendugno avrebbero provato nel vedere quelle barricate, le stesse famiglie che hanno portato i loro bambini davanti alla polizia per impedirgli di passare, forse per nascondere la paura di chi vuole che tutto rimanga come sempre e torni nell’ambito della normalità. I blocchi stradali, i corpi che hanno impedito ai camion di passare e le barricate hanno rotto quella normalità, quella stessa normalità per cui i gasdotti si costruiscono e devastano la vita sociale e ambientale di un territorio.
Preso atto di tutto ciò, continueremo a portare avanti la nostra opposizione alla realizzazione del gasdotto Tap, come facciamo da diversi anni a questa parte, nei modi e nei tempi che più ci aggradano, autonomamente o con altri a seconda che i nostri percorsi e le nostre pratiche si intrecceranno con quelle altrui.
Ai tanti volenterosi, coraggiosi e determinati, con cui in questi brevi ma intensi giorni di lotta abbiamo condiviso le ore, diurne e notturne, le esperienze e le speranze, l’intreccio dei corpi durante le sedute di resistenza passiva e i progetti futuri, diciamo che siamo disponibili ad incontrarci, in maniera realmente orizzontale ed autogestita, per continuare a progettare e manifestare la nostra viscerale ostilità a chi vuole realizzare il gasdotto, a chi vuole imporlo, a chi lo difende e a tutti i suoi collaborazionisti.
I governi devono scomparire
( Dal Web )
Bartolomeo Giaroli
A cosa serve l’Energia?
( Dal Web )