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Società senza lavoro
( Dal Web )
“Le repubbliche e le società contemporanee si dichiarano fondate sul lavoro, presentando questo dato come naturale, certo e immutabile, sino a fare del diritto al lavoro il diritto per il cittadino di realizzare se stesso. Su questo mito dei tempi moderni si sono costruite ideologie e teorie, poi crollate di fronte alla crisi dell’occupazione delle società industriali avanzate. Si è cercata una soluzione nell’economia e nella creazione di posti di lavoro; ma il problema non è e non è mai stato soltanto economico, tecnico o politico, né il lavoro è necessariamente il fondamento delle società. Occorre una nuova riflessione critica, che tenga conto delle rappresentazioni che del lavoro si sono date nella storia, per chiarire una questione che mette in gioco la libertà degli individui e la sopravvivenza della moderna civiltà industriale.” Società senza lavoro: per una nuova filosofia dell’occupazione (Dominique Méda)
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di Beppe Grillo
Siamo in un periodo di crisi, c’è la crisi e va superata. Sento ripetere queste parole all’infinito e non riesco a capire cosa stiamo cercando.
Penso che prima di tutto questo non sia un periodo di crisi. Se lo fosse non durerebbe da più di 10 anni. Siamo di fronte a qualcos’ altro.
Questo si collega direttamente al fatto che probabilmente tutti stanno cercando, non solo nel posto sbagliato, un qualcosa che non c’è. O meglio, non c’è più.
Per rispondere a questa crisi, per uscirne fuori, tutti cercano il lavoro. Ma siamo sicuri che il problema sia davvero il lavoro? Io penso di no. Il lavoro serve a produrre merci e servizi per soddisfare i bisogni dell’uomo. La nostra era è senza precedenti proprio per la sovrabbondanza di merci e servizi che abbiamo. Abbiamo una capacità produttiva che è di gran lunga superiore alle nostre necessità.
Politici ed economisti si impegnano tutti a capire come produrre di più. Dobbiamo pagare il debito, gridano. Dobbiamo lavorare di più, essere più produttivi, tagliare la spesa improduttiva.
Siamo condizionati dall’idea che “tutti devono guadagnarsi da vivere”, tutti devono essere impegnati in una sorta di fatica perché devono giustificare il loro diritto di esistere.
Siamo davanti ad una nuova era, il lavoro retribuito, e cioè legato alla produzione di qualcosa, non è più necessario una volta che si è raggiunto la capacità produttiva attuale. Si vuole creare nuovo lavoro perché la gente non sa di che vivere, si creano posti di lavoro per dare un reddito a queste persone, che non avranno un posto di lavoro, ma un posto di reddito, perché è il reddito che inserisce un cittadino all’interno della società.
Una società evoluta è quella che permette agli individui di svilupparsi in modo libero, generando al tempo stesso il proprio sviluppo. Per fare ciò si deve garantire a tutti lo stesso livello di partenza: un reddito, per diritto di nascita.
Soltanto così la società metterà al centro l’uomo e non il mercato.
Se fossi mendicante
( Dal Web )
Ernest Lecocq
Il lavoro è un crimine
( Dal Web )
Herman J. Schuurman
Il lavoro è il più grande affronto e la più grande umiliazione che l’umanità abbia commesso contro se stessa.
Questo sistema sociale, il capitalismo, è fondato sul lavoro; ha creato una classe di uomini che devono lavorare – e una classe di uomini che non lavorano. I lavoratori sono costretti a lavorare, se non vogliono morire di fame. «Chi non lavora non mangia», sostengono i ricchi, i quali del resto pretendono che anche calcolare e accumulare i propri profitti significhi lavorare.
Ci sono disoccupati e nullafacenti. Se i primi sono senza lavoro e non possono farci niente, i secondi non lavorano e basta. I nullafacenti sono gli sfruttatori che vivono del lavoro dei lavoratori. I disoccupati sono lavoratori a cui non è permesso di lavorare, perché non se ne può ricavare profitto. I proprietari dell’apparato di produzione hanno stabilito il tempo del lavoro, hanno costruito delle officine e ordinato a cosa e come i lavoratori devono lavorare. Questi ricevono quanto basta per non morire di fame, e sono a malapena in grado di dare da mangiare ai propri figli nei loro primi anni. Poi questi ragazzi vengono istruiti a scuola quel tanto che serve per potere andare a loro volta a lavorare. Anche i ricchi mandano i loro figli a scuola, perché sappiano anche loro come dirigere i lavoratori.
Il lavoro è la grande maledizione. Il prodotto di uomini senza spirito e senza anima.
Per far lavorare gli altri a proprio profitto bisogna mancare di personalità, e per lavorare pure bisogna mancare di personalità: bisogna strisciare, trafficare, tradire, ingannare e falsificare.
Per il ricco nullafacente il lavoro (dei lavoratori) è il mezzo per procurarsi una vita facile. Per i lavoratori è un peso di miseria, una cattiva sorte imposta fin dalla nascita che impedisce loro di vivere decentemente.
Quando smetteremo di lavorare, per noi inizierà infine la vita.
Il lavoro è nemico della vita. Un buon lavoratore è una bestia da soma dalle zampe incallite e con uno sguardo abbruttito e spento.
Quando l’uomo diventerà cosciente della vita non lavorerà mai più.
Io non pretendo che occorra semplicemente lasciare il proprio padrone domani e vedere poi come riuscire a mangiare senza lavorare, nella convinzione che inizi la vita. È già una disgrazia essere costretti a vivere nella miseria, ma poi la mancanza di lavoro porta nella maggior parte dei casi a vivere alle spalle dei compagni che lavorano. Se sei capace di guadagnarti da vivere saccheggiando e rubando — come dicono i cittadini onesti — senza farti sfruttare da un padrone, ebbene, vai; ma non credere che con ciò la grande questione sia risolta. Il lavoro è un male sociale. Questa società è nemica della vita ed è solo distruggendola, e distruggendo poi tutte le società del lavoro che seguiranno — ovvero facendo rivoluzione su rivoluzione — che il lavoro sparirà.
È solo allora che verrà la vita — la vita piena e ricca — nella quale ognuno sarà portato dai suoi puri istinti a creare. Allora, attraverso il proprio movimento, ogni uomo sarà creatore e produrrà unicamente ciò che è bello e buono; insomma, quel che è necessario. Allora non ci saranno più uomini-lavoratori, allora ognuno sarà uomo. E per bisogno vitale umano, per necessità interiore, all’interno di rapporti ragionevoli ognuno creerà in maniera inesauribile ciò che risponde ai bisogni vitali. Allora non ci sarà altro che la vita — una vita grandiosa, pura e cosmica — e la passione creatrice sarà la più grande felicità della vita umana senza costrizioni, una vita in cui non saremo più incatenati dalla fame o da un salario, dal tempo o dall’ambiente, e dove non saremo più sfruttati da parassiti.
Creare è una gioia intensa, lavorare è una sofferenza intensa.
Con i rapporti sociali criminali attuali, non è possibile creare.
Ogni lavoro è criminale.
Lavorare significa collaborare al profitto e allo sfruttamento; significa collaborare alla falsificazione, all’inganno, all’avvelenamento; significa collaborare ai preparativi di guerra; significa collaborare all’assassinio di tutta l’umanità.
Il lavoro distrugge la vita.
Se lo abbiamo ben capito, la nostra vita prenderà un altro significato. Se sentiamo in noi stessi questo slancio creatore, esso si esprimerà attraverso la distruzione di questo sistema vigliacco e criminale. E se per forza di cose dobbiamo lavorare per non morire di fame, bisogna che attraverso questo lavoro contribuiamo al crollo del capitalismo.
Se non lavoriamo per il crollo del capitalismo, lavoriamo per il crollo dell’umanità!
Ecco perché noi saboteremo coscientemente ogni impresa capitalista. Ogni padrone subirà perdite a causa nostra. Là dove noi giovani rivoltosi siamo obbligati a lavorare, le materie prime, le macchine e i prodotti verranno obbligatoriamente messi fuori uso. Ad ogni istante i denti salteranno dall’ingranaggio, forbici e coltelli si romperanno, gli attrezzi più indispensabili scompariranno — e ci comunicheremo le nostre ricette e i nostri mezzi.
Non vogliamo crepare a causa del capitalismo: ecco perché il capitalismo deve crepare a causa nostra.
Noi vogliamo creare come uomini liberi, non lavorare come schiavi: per questo distruggeremo il sistema di schiavitù. Il capitalismo esiste grazie al lavoro dei lavoratori, ecco perché non vogliamo essere dei lavoratori e perché saboteremo il lavoro.
Sui misfatti del lavoro
( Dal Web )
Attila Toukkour
I sindacati contro la rivoluzione
Benjamin Péret
Distruttore di macchine?
Günther Anders
I
Pensare, come avevano fatto i nostri padri, che le macchine possano e debbano sostituire noi e il lavoro che svolgiamo, è assolutamente antiquato. Dove siamo rimasti noi stessi a lavorare, perlopiù lavoriamo non «ancora», bensì «nuovamente»: in questo caso infatti, noi sostituiamo le macchine. O perché talvolta queste difettano nel funzionamento, oppure perché – e qui parlare di «ancora» sarebbe legittimo – le macchine che ci dovrebbero «davvero» essere non sono ancora scandalosamente state inventate. In questo caso noi «sostituiamo» il non-ancora-esistente. Naturalmente la nostra prestazione sostitutiva è sempre miserabile. Se gli apparecchi che sostituiamo potessero osservare il nostro sforzo di sostituirli, riderebbero dei nostri goffi tentativi. Ma dico appunto «se», e «riderebbero» al condizionale. Perché ovviamente, in quanto apparecchi, sono orgogliosi della loro incapacità di ridere o addirittura del loro non poter essere orgogliosi di qualcosa.
II
Oggi sono stato di nuovo costretto a leggere che sarei un «reazionario distruttore di macchine». È il più stolto di tutti i rimproveri possibili. Perché la mia battaglia non riguarda affatto, come nel XIX secolo, i modi di produzione, bensì i prodotti. Non ho mai suggerito che i missili dovrebbero essere prodotti a mano fra le mura di casa anziché nelle fabbriche. Ma ho sempre detto che i missili non dovrebbero essere costruiti.
III
Quelli che ci definiscono «distruttori di macchine», li dovremmo chiamare «distruttori di uomini».